Bonito Irpino

Collegata con l'Autostrada A 16, con uscite ad Avellino Ovest per chi venga da Napoli e Avellino Est per chi venga da Bari o dall'Adriatico, e con il Tirreno mediante il raccordo autostradale Avellino-Salerno, Strade Statali e Provinciali, con le Ferrovie dello Stato ed efficienti servizi di autolinee da Napoli e Salerno, Avellino è punto di partenza per la visita all'intera sua provincia.

Il soggiorno nel capoluogo, fondato dai Longobardi a poca distanza dall'antica Abellinum, è favorito da moderne strutture ricettive e consente di ammirare sia la nuova e funzionale edilizia e sia il nucleo storico con quanto vi si trova. Per la visita alle chiese e monumenti del Centro Storico si consiglia di lasciare l'auto nei pressi di P. Libertà, percorrere il breve tratto di V. Nappi e fermarsi in P. Amendola. Qui si può osservare il Palazzo della Dogana, costruito nel Medioevo a scopo commerciale e rimaneggiato nel 1657 per iniziativa del Principe E Marino Caracciolo. Nella stessa piazza sono il Monumento a Carlo II d'Asburgo e la barocca Torre dell’Orologio.

Cappella di Vincenzo Camuso

Percorrendo il belvedere di Bonito, che offre uno spettacolare panorama sulle valli dell’Ufita e del Calore, si giunge alla cappella di "Vincenzo Camuso". La cappella, ricavata nella cripta di quella che un tempo era la Chiesa dell’Oratorio, abbattuta in seguito al sisma del 1962, custodisce la mummia di un misterioso personaggio venerato dai bonitesi, da circa duecento anni ormai, come un santo con proprietà taumaturgiche, come attestano i numerosi ex-voto che tappezzano le pareti dell’ambiente. Tutte le fonti di storia locale non riportano nulla che possa riferirsi specificatamente a questo personaggio, il cui nome e cognome, però, ricorre frequentemente nei registri parrocchiali.

Le innumerevoli versioni della tradizione popolare lo identificano a volte con un chirurgo che effettuava miracolose operazioni durante la notte, a volte con un ciabattino, altre con un monaco. La leggenda lo presenta anche come uno spietato vendicatore che, a chi lo offende o gli manca di rispetto o mette in dubbio i suoi poteri, appare in sogno per colpirlo con vigorose bastonate. La fantasia popolare ha arricchito nel corso degli anni l’alone di mistero che ancora oggi circonda la mummia di Vincenzo Camuso: un connubio di sacro e profano, religione e superstizione.

 

Chiesa di S. Antonio e Convento Francescano
La costruzione iniziò nel 1712 e del Convento fu completato, in un primo momento, solo un dormitorio ed una piccola cappella per officiare la Santa Messa. Il 29 settembre del 1712, dopo l’autorizzazione della Santa Sede e del Vescovo di Ariano, arrivarono a Bonito i Padri Riformati che per lungo tempo svolsero il ruolo di guide spirituali della comunità. Nel 1713 iniziò il perfezionamento della struttura , temporaneamente adibita ad infermeria.

Il grande contributo dei fedeli e la benefica opera dei Francescani, permisero l’avanzamento dei lavori dell’edificio, che fu terminato verso la fine del 1700: nel 1775 furono eseguiti i lavori per la costruzione del Chiostro, nel 1786 fu creata la porta del Coro e nel 1788 tale opera fu completata dal Frate Michele D’Ascoli che vi aggiunse anche una Cantoria in legno.

La Chiesa di Sant’Antonio presentava una sola navata e ai quattro lati erano visibili quattro fossi chiusi da grandi pietre, che servivano per la sepoltura. Il Convento era di forma quadrata: al pianterreno vi erano il Chiostro e, giusto al centro, la Cisterna, costruita nel 1794; tutt’intorno si trovavano un salone adibito a cucina, una stanza-refettorio e vari depositi. Per il tramite di una scala in pietra levigata, si arrivava al piano superiore, all’inizio del quale, in alto sul muro, si vedeva un dipinto rappresentante l’immagine della Madonna; proseguendo lungo il corridoio, a sinistra e a destra, erano poste le cellette adibite a dormitorio dei Frati; nel 1828 fu costruito l’Organo a canne. Nel periodo che va dal 6 novembre 1839 al 29 settembre 1849, la Chiesa di Sant’Antonio, fu adibita a cimitero, come risulta dal "Liber Mortuorum".

La legge eversiva del 7 luglio 1866 ordinò la soppressione del Convento e l’incameramento dei beni ecclesiastici: con successivi provvedimenti legislativi la Chiesa passò alle dipendenze dell’Autorità ecclesiastica ed il Convento diventò proprietà del Comune. Pesanti sono stati i danni che la struttura ha dovuto sopportare, prima a causa dei terremoti che si sono abbattuti sulla nostra terra in questo secolo (23 luglio 1930; 21 agosto 1962; 23 novembre 1980) e poi per l’incuria umana. L’ultimo evento sismico fu, certamente, quello che più colpì la Chiesa, quasi interamente distrutta: crollò tutta la volta e la parte alta del prospetto principale e subirono notevoli danni il Coro ligneo e l’artistica Cantoria.

Nonostante tutto ciò, all’interno della Chiesa, ancora oggi si conservano opere di grande interesse storico religioso ci riferiamo all’ammirevole armadio presente nella sagrestia risalente al 1786, al Coro ligneo e alla Cantoria dello stesso periodo, , al Crocefisso del 1700, alle statue di Sant’Antonio, San Francesco di Paola, San Pasquale, San Francesco d’Assisi e della Vergine Immacolata.

La Devozione a Sant’Antonio, molto probabilmente, nacque e si sviluppò nella Chiesa Madre e a conferma di ciò ci sono due assunti: prima di tutto il fatto che la Processione del Santo Padovano osservi un’unica sosta davanti alla Chiesa S.M. Assunta e poi il fatto che in questa, molto più antica della prima, vi sia una cappella dedicata al Santo. Tre sono le funzioni che, ancora oggi si svolgono nella Chiesa intitolata al Taumaturgo e che vedono una larghissima partecipazione popolare: la Novena dell’Immacolata, la Via Crucis che si tiene ogni domenica di Quaresima e la Tredicina nei primi 13 giorni del mese di giugno.

Oggi la Chiesa si presenta radicalmente cambiata nella struttura interna, difatti molti furono gli interventi eseguiti per il consolidamento e il restauro architettonico dopo il sisma del 1980: furono demoliti i ruderi del tetto e della volta quasi interamente crollati, furono eseguiti dei micropali di fondazione, fu operata una bonifica integrale della muratura con perforazioni armate, furono ricostruite le parti murarie crollate e demolite, vi fu il rifacimento totale della copertura, con strutture in legno lamellare "che con la loro austera semplicità hanno impreziosito il santo edificio", il pavimento fu rimosso e sostituito con travertino venato rosso, gli infissi furono sostituiti, furono creati degli impianti di riscaldamento, elettrico e sonoro e furono restaurate le opere lignee più mal ridotte (coro, cantoria, porte, altare, armadio di sagrestia)

 

La chiesa di S. Domenico (popolarmente detta “di S. Vincenzo”)

La presenza dei Domenicani a Bonito risale al 2 ottobre 1574, giorno in cui il barone Claudio Pisanello, con atto rogato dal notaio Gianlionardo Troiano di Mirabella, donava a Domenico Vita, padre provinciale dei Domenicani, il convento che aveva fatto costruire presso la rinnovata chiesa di S. Maria della Valle, distrutta dal terremoto del 1456.

In una “memoria” scritta dal Padre Lettore Giamberardino si legge questa notizia:” Caduto il convento di S. Maria della Valle, si fondò S. Domenico, nel 1705, dopo il terremoto del (14 marzo) 1702. Cadde esso con altro terremoto del (29 novembre) 1732 e se ne fece la riedificazione e terminò verso il 1736. S. Domenico fu fondato in Bonito ed ebbe un territorio di circa tomoli 8, appartenente alla cappella della SS. Concezione. Fu stipulato l’istrumento dal Notar Francescantonio Fierro di Mirabella il 20 settembre 1705”. In questo stesso manoscritto del P. Giamberardino s’insinua l’idea che D. Domenico Bonito, succeduto al padre Giulio Cesare e alla famiglia Pisanello, abbia consigliato i Domenicani di S. Maria della Valle a lasciare quel convento vecchio e a venirsene a Bonito, dove non c’erano più i Pisanello.

A ricordo di questo passaggio fu fatto scolpire il seguente distico sulla porta centrale della chiesa:

DE VALLE AD MONTEM CEU XRUM VIRGO PERVENIT
IPSI TEMPLUM HOC DICAMUS. MDCCXV.

In una relazione di Giuseppe Galluccio, datata 23 marzo 1719, si legge:” In data 20 dicembre del passato anno 1718 (…) prima d’ entrare in essa (Terra di Bonito) si trova il Convento e Chiesa dei RR. PP. Domenicani, nel quale risiedono un Padre e due terziari e tiene di rendita circa duecento ducati l’anno che li pervengono da case e terreni”.

Da questa stessa relazione apprendiamo che il convento di S. Maria della Valle non aveva però chiuso i battenti perché :” Corrisponde la Camera Ducale al Venerabile Monastero di S. Maria della Valle della Terra di Bonito annui carlini 6 per 2 cenzi, uno sopra il forno, l’altro sopra la casa dove habita Angelo Ferrigno, come dalla fede di Fra Giacinto De Palazzuoli, Vicario di detto Monastero, prodotto per parte dell’illustre Duca (D. Domenico Bonito)”.

E dalla Platea redatta dall’arciprete D. Antonio Battagliese il 24 dicembre 1727, ai numeri 3 e 24, leggiamo che questi Domenicani di S. Maria della Valle possedevano un “campicello verso la Paratina”, che il loro Vicario, al numero 242, pagava “ducati 10”, che il loro convento, ai numeri 220 e 227, pagava rispettivamente “carlini 11” e “carlini 7” ed infine, al numero 242, il convento era citato come “convento vecchio di S.Maria della Valle”.

I Domenicani, tanto quelli in paese quanto quelli di S. Maria della Valle, si distinsero per la loro efficace predicazione al popolo e per la diffusione tra esso della devozione al S.Rosario.

Nella Visita Pastorale del 10 luglio 1614 leggiamo che nella chiesa di S. Maria della Valle “ vi è eretto un altare del S. Rosario e vi sono iscritti diversi confratelli, anche se né si regge, né funziona sotto il nome di confraternita”. Questo è un dato interessantissimo perché dimostra quanto radicata fosse la devozione al S. Rosario, prima ancora che la sua festa fosse ufficialmente istituita da S. Pio V, in seguito alla vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571).

La Congrega del S. Rosario fu istituita ufficialmente nella chiesa di S. Domenico la prima domenica di ottobre del 1867.

Anche se, in forza delle leggi eversive, gli ordini religiosi erano stati soppressi e la loro proprietà alienata, il buon seme gettato dai domenicani dava i suoi frutti.

L’atto di fondazione della Congrega recita così:” Si certifica da noi Arciprete Curato, autorizzato come delegato speciale del Vicario Generale di Ariano D. Michele Del Conte e questi nella qualità di delegato speciale del Padre Generale dell’ Ordine dei Predicatori di S. Domenico, in Roma, abbiamo eseguito l’ apertura canonica della novella Congrega laicale dell’ Oratorio del SS. Rosario nella chiesa di S. Domenico e Rosario insieme, nell’ anno 1867 nel giorno 6 domenica prima di ottobre, sacro al SS. Rosario di Maria Vergine, e precisamente dalle ore 16 e 20 dello stesso giorno pubblicamente ed in presenza di numeroso popolo di ogni ceto, e con solenni sacre cerimonie religiose insieme al Rev.mo Clero secolare e regolare, per cura del sacerdote Carmine Monaco, sempre con noi assistente e presente quale fondatore e rettore della medesima congregazione.

Nella Messa solenne sotto la nostra presidenza del sacerdote D. Pietro De Pietro feci la promulgazione prima del decreto di fondazione col catalogo delle indulgenze e privilegi di congregazioni emessi dal menzionato Padre Generale dei Domenicani in Roma, in data 18 settembre 1862 e 27 luglio 1863; poi fecesi la promulgazione del regolamento generale abbracciato con plauso universale dal popolo bonitese e questo insieme al catalogo e decreto furono posteriormente riconosciuti ed approvati dall’ Ordinario Diocesano il 1° dicembre 1867.

Si addivenne ancora alla erezione del quadro del Rosario coi suoi Misteri sull’ altare maggiore della chiesa, il quale perciò diventa altare privilegiato.

Infine si procedè alla prima aggregazione pubblica solenne di congregati pel medesimo fondatore rettore della congregazione, del numero di ben 300 e più circa di novelli aggregati di ogni ceto di persone, villici, proprietari, gentiluomini con gentildonne ed ecclesiastici ancora secolari e regolari.

Della qual cosa noi facciamo fede e perciò ne abbiamo redatto il presente certificato da noi stesso trascritto, firmato una col Vicario Foraneo (can. Andrea De Pietro) e quattro collegiali (Can. Agostino Ciriello, Can. Crescenzo Battagliese, Can. Giuseppe Battagliese, Can. Vincenzo De Chiara) da testimoni. A perpetua futura memoria della cosa. Ed in fede.

Bonito, oggi li 8 dicembre 1867.

L’ Arciprete Curato, Domenico Belmonte

Tra i vari impegni che l’iscritto si assumeva c’era quello d’istruirsi nella Dottrina Cristiana, confessarsi e comunicarsi spesso, ma specialmente a Pasqua, visitare i confratelli ammalati, assistere alle processioni e portare sempre con sé la corona benedetta del S. Rosario.

Alla devozione alla Vergine del Rosario, particolarmente sentita nel mese di ottobre, si aggiunse quella a S. Ciriaco, diacono e martire, quando nel 1886 s’introdusse la statua del santo e da allora si cominciò a celebrare la festa l’otto agosto, insieme a quella di S. Lucia, il giorno precedente.

Venerati sono anche S. Vincenzo Ferrer, il quale, nel linguaggio popolare, è spesso menzionato come titolare della chiesa, S. Alfonso de’ Liguori, S. Lorenzo, diacono e martire, e la Madonna della Salette.

La chiesa, danneggiata dal terremoto del 21 agosto 1962, fu riparata, conservando le sue linee originali, e riaperta al culto il 29 luglio 1977 dal Vescovo diocesano Mons. Nicola Agnozzi, che la ridedicò a S. Domenico.

Danneggiata ancora una volta dal terremoto del 22 novembre 1980, rimase inagibile fino al settembre del 1982, quando fu di nuovo aperta al culto.

 

Chiesa di San Giuseppe
Sorse in concomitanza con il primo sviluppo demografico del paese e con la formazione del Borgo.

In un documento vescovile del 10 maggio 1517, presentato all’arciprete Renzo Ruggiero, viene menzionata col titolo di “Ecclesia S. Petri Hospitalis” (Chiesa di S. Pietro dell’Ospizio), ricca di diverse icone. L’ospizio attiguo, composto di cinque camerette, era al servizio dei pellegrini e degli infermi (pro peregrinis et infirmis).

Nel 1703, con Breve pontificio, fu fondata in essa la Congrega di S. Giuseppe. Il 6 aprile 1763 “Noi R. Mongelli e A. Blundo ci recammo a visitare la chiesa di S. Pietro Apostolo, dove v’è una congrega in onore del SS. Patriarca S. Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria”. Successivamente la chiesa prese il titolo di “San Giuseppe”.

Dopo il sisma del 1930, durante alcuni lavori di restauro, si decise di eliminare l’ipogeo usato per le sepolture e fu abbassato il livello del pavimento della chiesa che precedentemente aveva all’ingresso alcuni scalini, sostituendo così anche il portale.

Fino al 2 maggio 1969 funse da chiesa parrocchiale, quando questa fu resa inagibile dal terremoto del 21 agosto1962.

Costretta alla chiusura dopo il sisma del 1980, a causa dei considerevoli danni subiti, ha beneficiato di restauri che ne hanno salvaguardato la sicurezza, restando tuttavia ancora incompleta.

Al suo interno è custodito un dipinto su tela raffigurante la Madonna del Carmine, risalente al 1700, un’urna contente una statua in cera di Santa Filomena, un antico Fonte battesimale e alcune antiche statue: la Madonna delle Grazie, la Madonna di Loreto, S. Giuseppe. Ma la statua più antica, in legno, è quella di San Pietro, primo intestatario della chiesa, che probabilmente risale allo stesso periodo di costruzione dell’edificio (XV-XVI secolo).

 

Chiesa Parrocchiale dell’Assunta
La chiesa attuale risale al 2 maggio 1969, quando fu riaperta al culto, dopo il terremoto del 21 agosto 1962. All’interno si conservano pregiate opere d’arte come il quadro dell’Annunciazione, il quadro della Madonna della Candelora di José Rodriguez della città di Oliva-Fuerteventura, la statua della Divina Pastora, il busto di Giulio Cesare Bonito e si venerano una reliquia della Santa Spina ed il corpo di San Crescenzo Martire.

La fede profonda e sentita dei Bonitesi nel mistero del Verbo Incarnato è storicamente documentata fin dal 1500. Troviamo infatti nella Visita Pastorale del 10 maggio 1517 una chiara menzione di una chiesa dell’Annunciazione, situata fuori le mura del castello (“extra moenia dicti castri Boneti”) e, nella Visita Pastorale del 13 aprile 1573, la descrizione di una cappella dell’Annunciazione, situata nell’ala sinistra della chiesa parrocchiale dell’Assunzione “intra moenia” (= fra le mura del castello), e la citazione di quest’iscrizione scolpita sull’architrave della porta maggiore:

AVE VERBUM INCARNATUM
A.D.1565

In questa stessa Visita Pastorale si puntualizza inoltre che, nella chiesa dell’Annunciazione, l’altare maggiore ha un’icona dello stesso nome, nella cappella dell’Annunciazione della chiesa parrocchiale saltuariamente si celebra la Messa per devozione dei fedeli e, nell’ala destra della chiesa rurale di Santa Maria della Valle (“in nemore”, cioè nel bosco) v’è la cappella dell’Annunciazione, fondata dal signore della terra Claudio Pisanello, con icona e paramenti sacri.
Nel 1581 la chiesa dell’Annunciazione divenne parrocchia perchè nell’antica chiesa parrocchiale dell’Assunzione “non ci capevano le genti per essere aumentato il popolo di detta terra” (Dagli Atti della Visita Pastorale del 23 giugno 1585).
Successivamente, il 14 agosto 1714, avvenne questo scambio: alla nuova chiesa parrocchiale, ricostruita dopo il terremoto del 1702, fu dato il titolo dell’Assunzione, ed alla chiesa dell’Assunzione quello dell’Annunciazione.
Nella Visita Pastorale del 10 luglio 1614 si accenna per la prima volta ad una Confraternita laicale dell’Annunciazione, all’indulgenza che si acquista all’altare maggiore della chiesa omonima, ed al portale in muratura nel cui arco “è dipinto il mistero dell’Annunciazione della Beata Maria Vergine”.
Questa raffigurazione del mistero dell’Incarnazione sul portale di una chiesa già dedicata all’Annunciazione, sembrerebbe un doppione inutile; in realtà essa nasconde un profondo significato teologico.
Nelle chiese di rito orientale una parete, detta “iconostasi” perchè coperta da iconi, divide rigorosamente il presbiterio, luogo riservato al clero, dal luogo dove si congregano i fedeli. Al centro di questa parete si apre una porta che dà direttamente sull’altare maggiore. Questa porta detta “regia” o “del Paradiso” deve sempre portare dipinta la scena dell’Annunciazione, perchè questa raffigurazione in posizione privilegiata, indica la centralità del mistero dell’Incarnazione e l’inizio della salvezza cristiana.
Ed in posizione privilegiata, nel catino absidale della chiesa dell’Annunciazione (dal 1700 chiamata anche “dell’Oratorio”), troneggiava, fin dal 1738, questo magnifico dipinto. Il terremoto del 21 agosto 1962 danneggiò l’edificio sacro, che poi fu abbattuto, ed il quadro fu portato nella Chiesa Madre, dove ora si venera.
Osservando quest’opera, mi vien subito da pensare che essa sia stata eseguita secondo ordini ben precisi impartiti dai committenti bonitesi, i quali vollero farvi inserire S. Bonito, da poco proclamato Patrono Principale del paese, e S. Caterina d’Alessandria, al cui nome era dedicata una chiesetta in località “Vigna della Corte” ed un’immagine nella cappella di S.Maria di Loreto nell’antica chiesa parrocchiale. (Quest’ultima testimonianza è data dall’abate Marco Antonio De Canditiis nella Visita pastorale del 23 agosto 1592).
Non mi convince molto l’opinione di chi ritiene che si tratti non di S.Bonito, ma di S.Gennaro; sia perchè questo martire, patrono di Napoli, non ha mai avuto un culto a Bonito, sia perchè in questa tela è rappresentato senza i segni classici del suo martirio: la palma e le ampolle del sangue.
Il quadro è un olio su tela, inserito in una ricca cornice dorata, dalle misure m.3 x 2. Il pittore ignoto, probabilmente della bottega napoletana, raggiunge notevoli effetti narrativi sottolineati da una cromìa sobria e sommessa, anche se con assenza di pur discreti tocchi dell’oro.
Il dipinto è una rivelazione: graziosi angioletti rimuovono un velo ed offrono alla nostra contemplazione una scena da incanto.
In primo piano, in basso a sinistra, appare S. Bonito, vestito in abiti pontificali, con lo sguardo rapito verso la Vergine, per la quale nutriva una tenerissima devozione, premiata, secondo la tradizione, con il dono di una pianeta di seta verde con galloni d’oro.
A destra si contrappone la santa patrona dei filosofi, Caterina d’Alessandria, elegantemente vestita perchè di nobile famiglia reale, con una tunica dai bianchi polsini arricciati, con un manto rosso che l’avvolge intorno, con il capo redimito di aurea corona, e le braccia che stringono i segni del martirio: una lunga palma verde ed una ruota munita di punte.
Tra i due santi si annida una densa ombra, in cui a stento s’intravedono due piccole figure emergenti seminude dalle fiamme.
Un bagliore investe le due figure principali e si concentra sui loro volti trasfigurati. L’angelo sembra fremere sotto il balenare della luce: le gambe nude emergono saltellanti dalla bianca tunica semidiscinta, il mantello esiguo fascia il corpo con un giro guizzante dal braccio destro al ginocchio sinistro segnatamente rialzato. La mano destra, allungata nella penombra, mostra tra le dita distese il simbolo della verginità della fanciulla eletta, mentre imperioso e deciso erompe, dalla corta manica rimboccata, il braccio sinistro completamente sollevato verso l’alto, con le dita chiuse, ma con l’indice michelangiolescamente disteso, come ad incontrare l’Altissimo.
Col segno danzante dell’angelo contrasta il raccoglimento intenso della Vergine, assorta in preghiera: capo semicoperto da un velo e quasi completamente poggiato sulla spalla destra, volto diafano, occhi socchiusi, braccia intrecciate sul petto, busto lievemente reclinato in avanti a lambire l’inginocchiatoio, avvolto nell’ombra del colore smorzato.
La compostezza della figura orante, tutta soffusa di sereno equilibrio e pacata eleganza, trova suggello nel ricadere del manto azzurro, eseguito con solchi profondi e ricchi di chiaroscuro.
Conferiscono levità alla scena le nuvolette in movimento ed i piedi nascosti da questo manto solenne, su cui si accendono i toni del rosso usato per la tunica.
Cinge il capo della Vergine un’aureola di luce che, spargendosi intorno, accentua la spiritualità dell’angelico messaggio.

La luce, accolta con docilità dall’umile tela, si fa colore. La Parola, ricevuta con fede dalla giovane donna, si fa carne: ET VERBUM CARO FACTUM EST, ET HABITAVIT IN NOBIS…DEUM DE DEO, LUMEN DE LUMINE, DEUM VERUM DE DEO VERO. (= E IL VERBO SI FECE CARNE ED ABITO’ FRA NOI… DIO DA DIO, LUCE DA LUCE, DIO VERO DA DIO VERO).

 

L’antico Fregio Dorico nei pressi della Casa Comunale
Un interessantissimo fregio dorico, venuto alla luce demolendo una vecchia casa (1974) in Bonito, ci permette di stabilire che un nostro antenato, partigiano di Antonio, prese parte alla battaglia navale di Anzio (31 a.C.).
Su questo reperto archeologico, ecco quanto scrisse Consalvo Grella sul Corriere dell’Irpinia dell’11 gennaio 1975.
"…Il fregio, originale per le sue decorazioni metopiche, che sono contenute tra due triglifi a livelli lievemente appiattiti, deve essere inserito in quel contesto di monumenti funerari ad "ara" o a "dato", di cui i prototipi trovano riscontro in alcune zone d’Italia in epoca tardo – ellenistica e, nei centri minori, a cavallo fra l’età repubblicana e quella augustea.
I temi decorativi dei fregi di questi monumenti in linea di massima sono costituiti da motivi vegetali, di reminiscenza ellenistica, simboli sacrali con teste taurine e patere, di significato culturale, centauri e la lupa di Roma, di significato mitico religioso, armi, navi e strumenti diversi, attinenti alla vita del defunto.
Il fregio evidenzia due metope, relative ad un tridente avvolto in due delfini e ad una prora di nave con torre.
Il tridente avvolto tra due delfini non è un’iconografia insolita, perché ricorre sovente sulle piramidi di areossuarie ad Aquilea ed è sintomatico che tale iconografia facci riferimento a persone che hanno avuto a che fare con la vita marinara.
Il nostro monumento, di cui resta solo un elemento, il fregio, rimane anonimo, perché mutilo del titolo sepolcrale. Tuttavia, una ricostruzione sommaria dello stesso si potrebbe avere, prendendo a modello il sepolcro di C. Nonius di Isernia, composto da un data con il titolo sepolcrale, posato su un plindo con modanatura e coronato da un fregio dorico. Al di sopra di questo dato era un epistilio, destinato a sostenere pulvini o acroteri, oppure una sovrastruttura zoomorfa. Stabilita approssimativamente la forma del monumento, ci resta da evidenziare il significato delle metope del fregio in questione e, possibilmente, inserirlo in un contesto storico – cronologico, in conformità delle decorazioni su di esso riprodotte.
A parte la prova di nave (rostro), che è il simbolo della potenza marina di Roma e che incominciò ad apparire sul rovescio delle monete di bronzo dal 338 a. C., allorquando l’Urbe ebbe una vera marina da guerra, avendo per prima liberato il Tevere dal dominio degli Etruschi di Caere e di Tarquinia con il dittatore Marcius Rutilus nel 356 a. C., il tridente con il delfino sta a significare l’emblema di una flotta o di una nave.
Un esempio pertinente ci viene dal bireme da guerra romana, sul fregio del tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina; infatti sotto la prora della bireme appare il coccodrillo, insegna della nave.
Nel caso che ci riguarda, l’insegna della nave, invece, è il tridente avvolto dal delfino; tale emblema trova riscontro sul rovescio di un denario repubblicano appartenente al console C. Sosius, il quale fu alla testa di una divisione navale di Antonio contro Ottaviano nella battaglia di Azio nel 31 a. C..
Pertanto si può affermare con una certa sicurezza che questo fregio dorico faceva parte di un monumento funerario, appartenente ad un ex classarius della zona di Aeclanum partigiano di Antonio, il quale, alle dipendenze del console C. Sosius, prese parte alla battaglia di Azio, ricoprendo probabilmente un incarico di un certo rilievo, se si tiene conto che sul fregio sono riprodotti due delfini, anziché uno; esempi di personaggi, appartenenti ad un ceto che si potrebbe definire borghese nei municipi e nelle colonie; decurioni, magistrati, militari, che hanno tramandato le loro cariche ricoperte in vita attraverso vistosi o modesti monumenti funerari sono numerosi".

 

Museo della civiltà contadina, delle arti e dei mestieri
La mostra permanente di Gaetano Di Vito, “Alla ricerca delle cose perdute”, nella sua nuova sede, è stata inaugurata il 1 agosto 2011 a Bonito (AV), in vico Masaniello, piccolo vicoletto del corso principale all’altezza dell’antica chiesetta di San Giuseppe.
La tenacia e la perseveranza di Gaetano Di Vito, privato cittadino, hanno portato alla realizzazione di quello che sembrava un sogno solo alcuni mesi fa. Collezionista da circa venticinque anni, il giovane bonitese ha iniziato a raccogliere oggetti antichi all’età di dieci anni. La sua collezione si è ingrandita sempre di più nel tempo, abbracciando praticamente un po’ tutti i mestieri, l’oggettistica e le espressioni artistiche della nostra realtà storico-sociale.
La vecchia sede, comunque frequentatissima da semplici appassionati e da studiosi, era divenuta ormai insufficiente e troppo stretta per una corretta fruizione di tutto il materiale esposto.
Ora, grazie anche alla disponibilità privata, la straordinaria mole di oggetti ha trovato la giusta collocazione in un immobile donatogli generosamente dalle sorelle Pagella. Per volontà della signorina Rosaria, purtroppo recentemente scomparsa, e della sorella, prof. Ermelinda, Di Vito ha avuto la possibilità di sistemare una volta per tutte le sue molteplici collezioni. Queste contengono molti oggetti di uso comune ma anche oggetti rari e particolari, alcuni davvero introvabili.
Le curiosità sono davvero tante: si passa dalla bottiglia per catturare le mosche, ad uno dei primi biberon in vetro della Robert, dall’uovo da barbiere (da mettere in bocca a chi era troppo magro per radergli meglio la barba), ad una notevole collezione di ceramiche, dalle stampe antiche ad oggetti di arte sacra, dalle attrezzature mediche ad oggetti della civiltà contadina, dalle attrezzature del calzolaio a quelle del falegname, dalle numerose scatole di latta agli strumenti per la filatura e la tessitura, per non tacere dei ricordi, dolorosi e gioiosi, dell’emigrazione. Insomma davvero un campionario notevolissimo per un paesino piccolo come Bonito.
Tutto questo, sistemato con gusto e diviso per mestieri o per tipologia di oggetti nelle stanze della nuova sede, in pieno centro storico, dotata anche di un ampio e panoramico giardino retrostante che già si preannuncia, in un prossimo futuro, teatro di manifestazioni culturali e gastronomiche. Cornice ideale per fresche passeggiate sotto gli alberi secolari che lo adornano, il giardino è il completamento ottimale di una struttura che a Bonito era necessaria ed indispensabile per accogliere degnamente, valorizzare e recuperare la storia del paese attraverso migliaia di oggetti apparentemente inanimati.
Da parte di tutti i cittadini di Bonito, dunque, va un plauso ed un ringraziamento a Gaetano Di Vito, vera anima dei suoi oggetti.

 

San Crescenzo martire
Incastonata nella parete laterale destra della Chiesa Madre, un’urna maestosa dalle dimensioni m. 2 x 2 x 0,76, in perfetto stile rococò, tutta indorata, custodisce il fragile e piccolo corpo di un fanciullo martire chiamato Crescenzo.
Questo nome augurale, auspicio di crescita non solo fisica, ma soprattutto spirituale e morale, si trova già nel Nuovo Testamento, esattamente al capitolo 4, versetto 10 della seconda lettera di S. Paolo a Timoteo, nella grafia greca, (Kreskes), resa in latino con Crescens ed in italiano con Crescente o Crescentino o Crescenziano. Altra variante latina è Crescentius, resa in italiano con Crescenzio o Crescenzo. (Il nostro santo fu all’inizio chiamato Crescenzio; poi, dalla seconda metà dell’Ottocento, la grafia mutò in Crescenzo, mentre è ancora chiamato “Crescenzio” nel linguaggio popolare).
Questo nome, presente nel Nuovo Testamento e presso i Padri Apostolici (S. Policarpo martire, nella sua “Lettera ai Filippesi”, scrive: “Ho dettato questa lettera a Crescente”), fu preso da molti cristiani e da molti martiri. Così abbiamo S. Crescentino (detto anche S. Crescenzio), martire, figlio di Eutimio, soldato romano, esiliato sotto Diocleziano, il quale si ritirò in solitudine presso Tiferno (l’odierna Città di Castello, in provincia di Perugia) e lì predicò il Vangelo; fu imprigionato, torturato e decapitato a Saldo il 1°giugno del 287.
Un altro S. Crescenzio fu decapitato a Roma e seppellito lungo la Via Salaria. Il suo corpo fu portato a Siena nel 1058 e ne divenne patrono minore, con festa al 5 settembre (nel Martirologio Romano è ricordato il 12 settembre). E’ stato spesso confuso col precedente che si festeggia il 1°giugno, e gli è stata attribuita la festa al 14 settembre.

 

Torre Normanna
La Torre Normanna di Bonito fu costruita insieme al castello intorno al 1130 per ordine di Guglielmo Gesualdo, consanguineo di Ruggiero II di Sicilia, lungo l’arco normanno Buonalbergo, Ariano, Acquaputida, a confine con la città pontificia di Benevento. Il castello è stato sede dei feudatari delle famiglie Bonito, Orsini, D’Aquino, Pisanello e Garofalo. Nel 1829 fu venduto a privati.

 

Santuario Maria SS. della Neve
Il modernissimo Santuario della MARIA SS.DELLA NEVE sorge sul luogo dove secondo la tradizione sul finire del VI secolo era apparsa ad alcuni contadini una dolce figura femminile con in braccio un bambino. All’apparizione i buoi si inginocchiano.La figura,sospesa nell’aria,era circonfusa di luce abbagliante ed era accompagnata da angeli ed Arcangeli che diffondevano musiche soavi.Era la Madonna. Da Allora le apparizioni si susseguirono.
Infine,in quel posto dove anticamente sorgeva un tempio pagano fu eretto un tempio cristiano dedicato alla Madonna.Il tempio subì nel corso dei secoli vari crolli e devastazioni sia per le invasioni barbariche,sia per le lotte intestine tra Stati e Stati,sia per i terremoti devastanti.
La terra di Morroni dove attualmente sorge un bellissimo e stupendo Santuario, ha ospitato nel passato diversi Papi(Onorio II,OnorioIII,Urbano IV,Leone IX,ecc…) e diversi personaggi importanti (federico II,Carlo d’Angiò,Carlo VIII).
Ha accolto nel 1222 anche il Santo dei Santi San Francesco d’Assisi.
Si narra che Carlo VIII,dopo aver conquistato il castello di Apice, attirato dalla fama della Madonna, venerata nella chiesa di Morroni,v olle recarsi sul posto sul posto per constatarne la bellezza e le virtù taumaturgiche.
Là giunto, fece il suo ingresso in chiesa con cipiglio altezzoso seguito dai suoi guerrieri armati. Si era sul finire della primavera dell’anno 1492 e faceva molto caldo. Improvvisamente però, mentre Carlo VIII sostava irriverente, in chiesa, il cielo si coprì di nuvoloni neri e cominciò a nevicare con grande intensità. In un battibaleno campi e strade furono coperti da montagne di neve e Carlo VIII non poté far ritorno al castello.
Restò prigioniero nella Chiesa con tutto il suo seguito per oltre quaranta giorni e solo quando si pentì dei suoi propositi cattivi la neve scomparve del tutto e riapparve la bella stagione.
Da allora alla Madonna di Morroni fu attribuito l’appellativo di Madonna della Neve"

 

informazioni tratte dal sito comunedibonito.it per gentile richiesta del Comune